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Per Aspera Ad Veritatem n.9
Profili penali dei pubblici segreti

Laura Fioravanti - CEDAM, Padova, 1991





Nella monografia che qui si presenta e che si segnala per evidenti aspetti di novità ed interesse, l'Autrice affronta i nodi di fondo della disciplina della "trasparenza amministrativa" introdotta con la legge 7 agosto 1990, n. 241, mettendone a fuoco pregi e difetti, con specifico riferimento agli incisivi riflessi sulla normativa penalistica.
Nella prima parte della trattazione viene dato ampio risalto alla portata innovativa che assume il riconoscimento, nel nostro ordinamento, del diritto di accesso - sancito dall'art. 22 della citata legge - destinato ad incidere in maniera diretta e sostanziale sul rapporto fra Pubblica Amministrazione e cittadino. In proposito, l'Autrice ben evidenzia come la legge in argomento abbia prodotto un ribaltamento di prospettive che ha fatto assurgere la "trasparenza amministrativa" a criterio di buona amministrazione e parametro per valutare la liceità dell'attività amministrativa e il rispetto dei limiti posti da altre discipline normative, come quelli segnati dalla legge penale.
Per altro verso, però, l'Autrice dimostra come il Legislatore, nel disciplinare i casi di esclusione del diritto di accesso, non abbia soddisfatto pienamente l'esigenza di una identificazione sicura e non discrezionale della linea di demarcazione fra trasparenza e segretezza, mancando altresì l'occasione per armonizzare, in un approccio "integrale" e coordinato con i principi del diritto penale, la disciplina di alcune categorie del diritto amministrativo che pongono in campo penale questioni di estrema gravità. Più in particolare, la Fioravanti evidenzia come il Legislatore, dopo aver introdotto un elemento di chiarezza nella delimitazione dello spazio entro cui può operare il segreto d'ufficio, mediante l'individuazione di quattro categorie di interessi tutelabili con il segreto, abbia poi previsto alcuni principi sussidiari ("divieti di divulgazione altrimenti previsti dalla legge") che rischiano di reintrodurre meccanismi di discrezionalità nella determinazione dell'ambito di riservatezza e di riaprire pertanto prospettive di apposizione non garantita del segreto. Ne risulta dimostrata - anche attraverso una preziosa analisi comparata con ordinamenti di altri Paesi che prevedono modelli complessivamente più garantiti di segretazione d'ufficio - la necessità di fare ancora un passo avanti nella chiara definizione dell'ambito del segreto d'ufficio e, più in generale, di tutte le forme di segreto esistenti nel diritto pubblico e del relativo spazio di operatività.
La seconda parte della trattazione è incentrata sui profili più specificamente penalistici della materia. In tale ambito viene affrontato il tema della disciplina del segreto di Stato e delle gravi carenze che essa presenta in relazione agli aspetti fondamentali in materia di secretazione, che sono a tutt'oggi per lo più affidati a delle "fonti occulte" - inaccessibili perché classificate - costituite da disposizioni regolamentari della Presidenza del Consiglio.
La tematica viene affrontata, sullo sfondo di utili rilievi comparatistici, in una prospettiva di revisione della normativa attuale, che si muova nel quadro di una regolamentazione globale del principio di pubblicità dell'azione amministrativa e che investa anche tutte le forme di segretezza esistenti nel diritto pubblico, in un'ottica di armonizzazione della materia del segreto con il principio della trasparenza dell'azione amministrativa.
In stretta connessione, viene quindi affrontato il tema della tutela penale delle "notizie riservate" nel quadro normativo vigente, nell'intento di appurare se il nuovo assetto normativo delineato con la legge n. 241/90 non abbia condotto entro coordinate affatto nuove rispetto al passato la problematica concernente la tutela penale delle "notizie riservate", e cioè delle notizie di cui è vietata la divulgazione.
A tal fine, viene ripercorso l'iter storico-politico che ha connotato, in questo secolo, l'evoluzione concettuale delle "notizie riservate", che nella prevalente linea interpretativa della dottrina, recentemente accolta anche nella prassi giudiziaria, assumono assoluta autonomia rispetto alle disposizioni concernenti il segreto di Stato.
A supporto dell'assunto circa la perdurante dicotomia tra segreto di Stato in senso stretto e notizie riservate, l'Autrice rileva come la legge n. 241/90, pur non portando completa chiarezza in materia, abbia fornito un solido argomento alla tesi della sopravvivenza della categoria delle notizie riservate e della tutela penale ad esse relativa; dal che discende che le forme di riserbo dei pubblici poteri debbono ritenersi esistenti solo nel numerus clausus di tre: il segreto di Stato, il segreto d'ufficio e le notizie di cui è vietata la divulgazione.
In merito alla sopravvivenza di queste ultime, viene quindi richiamata l'impostazione interpretativa, caldeggiata in primis dalla Presidenza del Consiglio in alcuni casi giudiziari, e talora seguita dalla giurisprudenza, secondo la quale un documento, pur privo delle caratteristiche di segretezza indicate nell'art. 12 della legge n. 801/77, può tuttavia considerarsi penalmente rilevante ai sensi dell'art. 262 c.p., qualora esista uno specifico divieto di divulgazione posto dall'Autorità amministrativa.
Ampio spazio viene infine riservato alla tutela penale del segreto d'ufficio, ponendone in risalto l'intervenuto rafforzamento, per effetto della legge 26.4.1990, n. 86, concretatosi nell'ampliamento delle fattispecie penali che tutelano il segreto amministrativo.



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